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      Il progetto di riforma di Jacini è caratterizzato da un governo piú forte, attraverso il modo di elezione dei deputati e la limitazione delle loro competenze, e da un grande discentramento amministrativo, reso possibile appunto dalla esistenza di un governo forte.
      Rattazzi, in una lettera a Vittorio Emanuele, 1860, ricordando le tradizioni del mezzogiorno raccomanda «pas de hâte enragée de trop administrer et d'une façon préconçue, pas de zèle dans l'unification. Voilà le danger contre lequel nous allons peut-être nous heurter...» (Rattazzi et son temps, pp. 537 sg.).
      Ricasoli (sul principio del '62) operò alcune riforme amministrative, nel senso del decentramento.
      (384) Jacini, Pensieri sulla politica italiana, p. 39, lamenta che - dopo il '66 - non si sia voluto parlare di riforma amministrativa (che tra l'altro avrebbe sanato il Parlamento) perché incombeva il problema finanziario. E non si capí che quella avrebbe facilitato la risoluzione di questo.
      (385) Vedi parafrasata (e smontata) questa accusa in Jacini, Pensieri sulla politica italiana, p. 70. Molti lamentano che il Piemonte facesse piú grande politica estera del regno d'Italia e si domandano: «L'esperienza non ci insegna forse che una politica intraprendente e inframettente è quella che ci conviene? Eravamo intraprendenti e inframettenti da piccini, perché ora, divenuti grandi dovremmo cessare d'esserlo?» La risposta è contenuta nel capitolo sulla Megalomania politica in Italia nel citato volume di Jacini (un piccolo Stato può arrischiare e poi, eventualmente, ritirarsi, cedendo all'intimazione di una o piú grandi potenze.


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Saggi sul Risorgimento
di Nello Rosselli
pagine 380

   





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