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      Trattenuta dal timore di crisi disincantatrici e di speculazioni estremiste, si ostinò, ancor piú del Bernstein, in una insostenibile rivendicazione della propria purità marxista, rifiutando di condurre le critiche alla loro logica conclusione. Sul terreno pratico, forse indebolita dal rumoroso e sterile atteggiamento negativo dei rivoluzionari, finí per adattarsi ad una azione frammentaria di riforme, ad una politica di compromessi e transazioni, perdendo ognora piú di vista i fini piú generali e lontani della lotta. D’altronde per trionfare essa avrebbe necessitato l’adesione di larghe correnti giovanili; mentre i giovani, in quegli anni, se socialisti, gravitavano quasi tutti verso l’ala rivoluzionaria e, in particolar modo, verso quella sindacalista. Inoltre il Bissolati, il Bonomi e il Salvemini, che della revisione erano stati i piú decisi esponenti, si allontanarono o furono espulsi dal partito e persero ogni influenza sulle masse. Rimase quasi unico il Graziadei, fedele alle tesi revisionistiche anche quando, dopo vent’anni, passerà al comunismo.
      Il merito di una larga ripresa di studi marxistici risale in quegli anni soprattutto ai sindacalisti rivoluzionari, e ai due giovanissimi leaders del movimento, Arturo Labriola ed Enrico Leone. Sulle pullulanti riviste dilagarono gli scritti esegetici e le discussioni che, se pur viziate da troppo evidente apriorismo e disinvoltura di metodi, innegabilmente rivelarono indipendenza di giudizio e genialità di spunti. Labriola piú d’ogni altro si sforzò, con le risorse di un ingegno brillantissimo, di coniare una interpretazione nettamente volontaristica volta a fare di Marx un precursore delle tesi sindacaliste.


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Socialismo liberale
di Carlo Rosselli
pagine 184

   





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