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      Ciascuno si abbandonò passivamente al moto che ormai procedeva con leggi sue, ben diverse da quelle codificate nella dottrina, e ci si guardò bene dal «fare il punto», all’uso dei navigatori, rivelando con la propria, l’altrui crisi. Si costruirono tanti «marxismi puri» quante erano le tendenze; ci si accapigliò periodicamente sui testi: e si inventarono formule sapienti piú o meno «integralistiche», «centristiche», «unitaristiche» per evitare scismi e controbattere le minoranze rivoluzionarie nei congressi; i quali congressi, da rassegne di forze vive ed operanti vennero sempre piú riducendosi ad accademie nelle quali di tutto discutevasi fuorché dei problemi vitali del movimento. In meno di venti anni si era passati dalla tonante rivelazione di Marx a un coro monotono di ripetitori. Le parole continuavano a frullare, ma i fatti erano scarsi e lo spirito sempre piú utilitario e meschino. Alle apocalittiche previsioni quasi nessuno, nel suo intimo, credeva piú. il Verbo s’era trasformato in lettera, la fede in rito, il ribelle in prete. Dopo il 1908 la crisi intellettuale e morale aveva assunto un carattere cosí allarmante da richiamare invano l’attenzione di alcuni tra i migliori, come Rigola, Salvemini, Modigliani, e lo stesso Turati, che avvertiva essere le forze del partito scemate d’importanza e di numero, la vita dei circoli anemica, le idee incerte, il fervore dei propagandisti sbollito e generale il senso di rilassamento. Era la paralisi generale, progressiva; lo sciopero dei pochi cervelli ancora in funzione.


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Socialismo liberale
di Carlo Rosselli
pagine 184

   





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