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      La vittoria di Mussolini fu dovuta in buona parte alla costituzionale incapacità di rinnovamento dei vecchi quadri dirigenti del movimento; i quali condannavano bensí questo improvviso quanto assurdo ritorno all’insurrezionismo blanquista, ma non erano poi in grado di contrapporgli un programma costruttivo che fosse animato da una visione ampia e lungimirante dei problemi della vita italiana. Il loro riformismo, guasto dalla tabe elettoralistica e dalla lotta per riforme sociali di dettaglio, echeggiava, o pareva proprio echeggiare, un profondo scetticismo, come di gente che non crede piú negli ideali della propria giovinezza, ma non osa confessarlo.
      Né è a dire che difettassero in quegli anni tra i giovani sane correnti realistiche capaci di alimentare un riformismo virile e realizzatore. Ma esse furono sistematicamente compresse e eliminate. L’esempio piú tipico resta «l’Unità» del Salvemini che riuscí a raccogliere attorno a sé un autentico stato maggiore di giovani tendenzialmente socialisti: fornendo cosí la riprova che la decadenza non era dovuta alla fuga della nuova generazione dal socialismo, ma piuttosto alla incapacità del partito a farsi eco delle sue esigenze. Si affermava la urgente necessità di un programma d’azione che sostituisse alle lotte per le riforme prevalentemente economiche che interessavano solo ristrette categorie di lavoratori, la lotta per una serie di grandi riforme politiche di interesse generale (riforma tributaria, doganale, comunale, militare) solo capaci di creare nel popolo quella coscienza politica che è la premessa indispensabile per il nascere di una moderna democrazia.


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Socialismo liberale
di Carlo Rosselli
pagine 184

   





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