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      L’errore di Marx fu di aver scambiato il prologo con l’intero svolgimento, di aver prolungato nel tempo fenomeni transitori, di aver fatto dell’immiserimento progressivo delle masse e della accumulazione della ricchezza in poche mani la «legge generale e [assoluta» dell’accumulazione capitalistica, compromettendo l’intera sua concezione con] un apriorismo teoretico e [con] lo schematismo dialettico caro agli hegeliani. Il capitalismo riuscí difatti a superare la posizione senza uscita a cui sembrava condannato. Il movimento operaio, la legislazione sociale, le infinite forme di intervento della società posero fine, nei paesi piú progrediti, agli abusi piú rivoltanti; il perfezionarsi della produzione e della mentalità capitalistica dimostrò che l’incremento del profitto chiedeva operai piú qualificati, meglio nutriti, meglio pagati, capaci, oltreché di produrre, anche di consumare le sempre piú gigantesche masse di prodotti che inondavano i mercati; le società per azioni democratizzarono, entro certi limiti, il capitale, e le coalizioni capitalistiche reagirono ai danni di una produzione affidata al capriccio del profitto e del criterio individuale. Dalla politica di astensione dello Stato in materia economica si passò, per gradi insensibili, a una politica di intervenzionismo intenso e progressivo: nazionalizzazione di servizi pubblici essenziali (ferrovie, poste, banche, assicurazioni, ecc.), controllo sui prezzi di molti generi (illuminazione, pane, acqua, alloggi, ecc.), controllo su mercati, corpi professionali, commercio estero, premi e sovvenzioni, espropriazioni per pubblica utilità, lavori pubblici, regolamentazione coattiva dei salari e delle condizioni di lavoro.


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Socialismo liberale
di Carlo Rosselli
pagine 184

   





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