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      In Russia, dodici anni dopo la rivoluzione, si è raggiunto a malapena il livello di produzione prebellica nell’industria; mentre in agricoltura la produzione vi resta ancora inferiore. Anche nelle aziende industriali meglio organizzate siamo lontanissimi dai livelli di produttività e di retribuzione delle corrispondenti aziende nei paesi capitalistici. La psiche operaia non è certo mutata – per confessione stessa dei Soviet – con la rapidità desiderata e prevista, tanto che dopo un primo periodo di rigida applicazione delle formule comunistiche, si è stati costretti a ristabilire buona parte del vecchio meccanismo disciplinare, con le conseguenti differenziazioni gerarchiche e salariali. Ci si è dovuti convincere, insomma, che la previsione ottimista dei vecchi socialisti potrebbe avverarsi solo se la sua realizzazione dipendesse dall’opera di quelle esigue minoranze nelle quali la trasformazione delle aziende da private in sociali determina il sorgere di uno squisito senso di responsabilità, di quel senso che gli anglosassoni chiamano del «servizio sociale». Ma le sorti della produzione dipendono invece dal livello medio di sensibilità e capacità delle grandi masse: livello che si modifica con estrema lentezza, attraverso una profonda e diuturna opera di educazione. Del che d’altronde fanno riprova le molteplici interessantissime esperienze italiane in materia di cooperazione rurale. Per dieci esperimenti fortunati, dieci almeno fallirono. E i dieci che riuscirono, riuscirono per meravigliosa abnegazione di dirigenti, attraverso sforzi e sacrifici di decenni, ai quali tutta indistintamente la massa fu chiamata a partecipare.


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Socialismo liberale
di Carlo Rosselli
pagine 184

   





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