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      Dopo la esperienza russa non è piú permesso a un socialista di considerare la razionalizzazione socialista con gli occhi ingenui ed utopisti di un tempo. Essa chiaramente rivela – anche indipendentemente dalla dittatura – quale enorme peso vi abbiano gli elementi politici e psicologici. Il piano quinquennale russo è dominato dal criterio tutto politico di favorire l’industria, e con l’industria lo sviluppo del proletariato, nerbo del regime, a danno dell’agricoltura e della immensa maggioranza della popolazione. I prezzi dei prodotti industriali sono fissati a un livello artificiosamente superiore a quelli agricoli, cosí da grandemente ridurre la capacità d’acquisto dei ceti rurali. La stessa ripartizione delle risorse è fatta con criteri politici, in vista di uno sviluppo dell’industria pesante e delle risorse di materie prime. Mai piú deliberatamente si sacrificarono gli evidenti interessi dell’economia a un dogma politico; e mai piú artificiosamente si costruí un conflitto che ha bene il diritto di chiamarsi di classi. Il contadino non è piú sfruttato dal grande proprietario terriero, a cui doveva consegnare una parte del raccolto; ma oggi quella parte del raccolto la deve consegnare ai rappresentanti dello Stato e dei ceti urbani, sotto forma di una brutale riduzione del suo potere d’acquisto.
      Dalla esperienza russa – esperienza comunque fondamentale per la storia del socialismo mondiale – sgorga una grande lezione che nessuno potrà contestare: e cioè che una rivoluzione violenta e uno sconvolgimento subitaneo dell’intero sistema produttivo, se consente apparentemente di riedificare ex novo l’organizzazione produttiva in base a un principio razionale, porta di conseguenza una tremenda crisi, tanto piú tremenda quanto piú sviluppato e perfezionato è il meccanismo finanziario e industriale, che impone sacrifici e sofferenze senza nome alla generazione rivoluzionaria.


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Socialismo liberale
di Carlo Rosselli
pagine 184

   





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