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      I liberali, si dice sempre, non possono per definizione sapere come si determineranno gli equilibri a venire. Al pari dei conservatori borghesi, sedicenti liberali, anche i socialisti finirebbero per imprigionare il liberalismo entro i limiti di un sistema chiuso e predeterminato, entro i limiti del sistema collettivistico. Ora lo spirito liberale è essenzialmente dialettico e storicista; per esso la lotta è l’essenza stessa della vita; la storia è la risultante di un perpetuo confluire ed urtarsi di forze; nulla quindi di piú illiberale ed utopistico che volerle assegnare un percorso obbligato. Per il liberale nessun principio, nessun programma, per quanto mitico e lontano nel tempo, può assumere quel sapore assoluto, categorico, che assume invece nei socialisti il loro programma finalistico. Il prevedere e, addirittura, lo stesso auspicare che essi fanno, di un futuro regno di Dio su questa terra, di un regno di giustizia, di pace e di eguaglianza, di uno stato sociale, cioè, statico e perfetto, repugna profondamente alla concezione liberale della vita.
      L’obbiezione è giustissima se si rivolge contro la vecchia posizione mitica e utopistica socialista e contro la mentalità ancora assai diffusa nelle fila socialiste. Il Manifesto dei Comunisti, pur avendo tanto contribuito a diffondere l’esigenza emancipatrice, e quindi liberale, nelle masse, è in sé, nel pensiero messianico che lo informa, profondamente illiberale. Lo stesso dicasi per la concezione marxista tradizionale e per la piú gran parte dei programmi finalistici e ricostruttivi dei partiti socialisti.


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Socialismo liberale
di Carlo Rosselli
pagine 184

   





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