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      La regola secondo cui non si ama e non si difende se non ciò per cui molto si è lottato e sacrificato, ha avuto la sua riprova piú tipica nella esperienza fascista. L’edificio liberale crollò come cosa morta al suo primo urto e le classi lavoratrici assistettero inerti alla negazione di valori estranei ancora alla loro coscienza.
      Quando Mussolini elenca oggi le cifre delle sue greggia e delle sue mute di cani e vanta la unanimità, il partito unico, la scomparsa d’ogni sostanziale contrasto, d’ogni libera iniziativa di minoranze combattive, in nome di una rivoluzione carnevalesca, in realtà non fa che rinnovare i fasti del borbonismo, senza neppure lasciarci la consolazione di saperlo straniero e padrone per virtú di milizie preponderanti.
      È bensí vero che la sua faziosità romagnola lo porterebbe alla battaglia; ma la battaglia egli non sa concepirla che in termini di forza bruta; l’orgoglio dispotico del dittatore lo costringe a spegnere sistematicamente ogni ardore di contrasto e di lotta. Pure la sua intransigenza settaria serve la causa della libertà. Coi randelli e le manette, con le raffinate persecuzioni, Mussolini sta costruendo a diecine di migliaia gli italiani moderni, volontari della libertà. La sua furia persecutrice e la logica tremenda degli strumenti repressivi di cui è ormai prigioniero, stanno diventando i nostri migliori alleati.
      Per la prima volta nella storia d’Italia la rivendicazione dei diritti inalienabili della persona e del principio dell’autogoverno, si pone come problema di popolo, e non piú come problema di una setta di iniziati.


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Socialismo liberale
di Carlo Rosselli
pagine 184

   





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