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      - Ciò che feci religiosamente.
      Quel vecchio era un tal Giocondo Bruni, benestante, di sufficiente ma non di eccessivo peculio. - Era piccolo di statura, e magrissimo. La natura, che il volle destinato ad una vita lunga, lo aveva emunto d'ogni umore superfluo, e ridotto come una corda di violino. Poteva spezzarsi, non affloscirsi. - Aveva capelli canuti e tuttora folti che gli coprivan la fronte; occhi neri, piccoli, fondi, tuttora vivissimi, e che attestavano come gli abbondasse ancora il fosforo del cervello. A ottantotto anni aveva la mente lucida, le idee ancora ordinate, la memoria fedelissima. Soltanto lo tormentava, nelle giornate piovose, un sonno ch'egli chiamava morboso, del quale s'inquietava ed affliggeva.
      Amava la gioventù con predilezione che pareva originalità di natura; ma soffriva antipatie feroci, tanto che ne' crocchi, dove mi trovai seco qualche volta, investiva con rabbuffi insolenti qualcuno che non gli aveva mai fatto offesa. - Ma i vecchi, come i fanciulli, amano ed odiano per istinto; i fanciulli hanno l'istinto della natura, i vecchi quello dell'esperienza; ed il vecchio Giocondo, in quelle tali faccie profilate, costrutte e tinte in quel tal modo, aveva imparato a leggere quel tal carattere; di qui le sue cortesie e le sue asprezze. Nato di madre ballerina, come aveva percorso tanta parte del tempo, aveva così percorso molti luoghi dello spazio, perchè colla madre sino a dodici anni, in compagnia d'un precettore, s'era trovato in tutte le città d'Italia e d'Europa, dove c'era un teatro, dove c'era opera e ballo.


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Cent'anni
di Giuseppe Rovani
pagine 1507

   





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