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      Lo consigliai a nominare erede universale il figlio suo, chiamandolo all'onore del mondo, e a distruggere il testamento fatto prima, pel quale l'erede universale doveva essere il suo fratello conte Lodovico, una degna e brava persona, per verità, ma ricca a sufficienza; del rimanente non aveva dimenticato nemmeno lui... Mi pregò gli facessi venire un notajo... gli ho mandato il giovane dottor Macchi, il quale vegliò alla stesa del testamento olografo... perchè quell'uomo non sapea nulla di nulla. Io seppi dal dottore che quel testamento infatti era stato scritto dal proprio pugno del marchese, e firmato, e così messo tra altre carte. La cosa rimase segreta tra me, il dottore ed il marchese, il quale però soltanto due ore prima di morire: «Do a voi, mi disse, la chiave del mio studio. Là dentro nello scrigno c'è quello che voi avete voluto che si facesse.» Ecco tutto. Del resto io non ho veduto nulla.
      - Qui c'è una mano esperta che trafugò il testamento, soggiunse il giudice, dopo un momento di pausa. Ma il mare delle congetture è troppo vasto per scoprirvi il filo, se non vien fuori l'uomo. D'altra parte il conte Lodovico...
      - Partì due ore prima della morte del fratello... egli e suo figlio.
      - Per questa parte adunque non c'è a far nulla.
      - E poi, torno a ripetere, il conte è un uomo irreprensibile...
      Dopo queste parole vi furono alcuni istanti di silenzio, trascorsi i quali, il parroco:
      - Sarebbe bene - uscì a dire - che V. S. illustrissima parlasse col notajo Macchi... Egli ha letto la scritta del marchese dopo averla dettata.


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Cent'anni
di Giuseppe Rovani
pagine 1507

   





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