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      - Addio, Lorenzo, gli disse; avete bisogno di dormire... e di far buona cera; a rivederci domattina, caro; e vispa e vivace e saltellante e sghignazzante l'aveva lasciato là senz'altro.
      Ma la mattina venne presto, e quando fu un'ora ragionevole, Lorenzo Bruni non si fece aspettare, ed entrato nell'angusto ma elegantissimo appartamento della Gaudenzi:
      - È alzata la Margherita? - domandò ad una zia di lei; una zia rachitica e gibbosa, ma piena di acutezza, e che stava presso a quella giovane beltà come il cane che ringhia sul tesoro messo sotto la sua custodia.
      Lorenzo Bruni non aveva finito di nominar la Margherita, che questa, coi capegli mal raccolti dalla notturna rete e fuggenti sulle spalle, e in veste breve e discinta, dalla stanza da letto balzò con un salto nella camera dov'egli trovavasi colla zia; e appoggiando ambedue le mani sulle spalle di lui, fece due o tre battements rapidissimi, dicendogli intanto con aria motteggiatrice e carezzosa:
      - Siete guarito, Lorenzo? - e accompagnò queste parole con quella giocondissima e suonante risata a lei abituale; suonante e leggera, e nel tempo stesso plebea insieme e gentile, che assomigliava ad una scala musicale o ad un vocalizzo, in cui le note spiccansi nette e granite; o che, se il confronto non è troppo da naturalista, pareva il lieve e oscillante nitrito di una cavallina che si stacchi allora dalla materna poppa. Lorenzo, venuto là torbido e arrovesciato, com'ella ebbe finito di saltare e di ridere, non potè a meno di spianare la sua fronte corrugata; tanto era completo e ricreante lo spettacolo che, avvolta così a bardosso nelle bianche vesti mattinali, offeriva quella regina della beltà, della gioventù, della salute e dell'allegrezza.


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Cent'anni
di Giuseppe Rovani
pagine 1507

   





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