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      Lasciata Parigi, quando finirono i suoi obblighi contratti coll'impresario, e ritornando in Italia, Lorenzo conobbe a Venezia la Margherita Gaudenzi ancor fanciulla, rimasta due anni addietro orfana del padre, stato ballerino grottesco e morto d'una contusione per un salto mortale mal calcolato; e poi anche della madre, perita nell'incendio del teatro di Sinigallia, la quale, esercitando la professione di figurante ed essendo stata una bella donna, avea sempre fatto le parti d'una qualche dea, quando non si trattava nè di agire nè di danzare; e nelle pantomime che finivano coll'Olimpo illuminato, costantemente era stata incaricata di sedere in qualità di Giunone accanto a Giove Tonante. La fanciulletta, quando rimase orfana, era già tanto innanzi nell'arte, da eccitare la meraviglia di quelli della professione. Allorchè Lorenzo Bruni la vide per la prima volta a ballare sulle scene del teatro di San Moisè, ne fu anch'esso maravigliato, insieme col pubblico che accorreva da tutte le parti della città per ammirare quel piccolo portento; tuttavia, rincrescendogli che anch'ella, come voleva il pessimo gusto di allora, si lasciasse andare alla danza grottesca, e ricordevole delle lunghe discussioni tenute a Parigi con Rousseau stesso, sull'origine e sullo scopo del ballo, nell'occasione che al teatro del Re aveva ballato la celebre Guzzani; e abborrendo al pari del Ginevrino, quella danza che non può al bisogno, suggerire movenze e pose e contorni e linee al pittore ed allo statuario, e non sapendosi contenere nei limiti di una casta eleganza, si abbandona frenetica e lasciva, a inconditi movimenti, in cui non si cerca che di superare strane difficoltà; dispiacendogli dunque tutto ciò, volle conoscere quella fanciulla, colla quale tanto disse e tanto fece, che senz'esser ballerino e solamente guidato dal buon gusto e dal bisogno che sentiva di riformar tutto, la ridusse ad un sistema di danza allora insolito, ma che pure destò ovunque un insolito entusiasmo; tanto è vero che v'è un bello assoluto, il quale trionfa anche ne' più corrotti periodi dell'arte!


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Cent'anni
di Giuseppe Rovani
pagine 1507

   





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