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      Ma abbandoniamo le inutili digressioni, e facciamoci con chi deve recarsi alla festa da ballo in maschera del sabbato grasso.
      Pochi minuti prima della mezzanotte di quel sabbato, ossia circa quarant'otto ore dopo che la dea Gaudenzi venne fischiata dal pubblico, lasciatosi trascinare da quella infesta precipitazione di giudizj che ha sul collo tante vittime; Lorenzo Bruni, un po' colle dolci parole, un po' colla finta collera, un po' colla vera, stava distogliendo da un ostinato proposito la Gaudenzi, che, abbigliata con tutto lo sfarzo di una regina, nel punto che stava per salire in carrozza alla festa del teatro Ducale, d'improvviso, come una puledra che adombri, erasi fermata, e, risalendo la scala, avea cercata la sua stanza, giurando che sarebbe morta, piuttosto che mostrar la propria faccia a coloro che aveano potuto insultarla senza ragione.
      Avvezza fin dalla prima infanzia alle carezze de' genitori, alle gentilezze di tutti; e, fatta adulta, alle lodi, all'ammirazione, agli applausi, alle adulazioni, ai trionfi; quel primo insulto la trapassò di una profonda ferita, e in modo che la vescichetta del veleno, ci si permetta questa espressione, del veleno onde la natura non manca mai di provvedere anche la più soave e mite creatura, s'era dischiusa con uno squarcio repentino, tanto che lo avea schizzato con veemenza d'intorno a sè, al punto da mettere nella più seria costernazione la vigile zia e Lorenzo. All'invito ch'egli le avea fatto il giorno prima di recarsi all'ultima festa da ballo in maschera, ella aveagli risposto con isdegnosa ironia; alle dolci persuasioni opponendo una fierezza fin quasi selvaggia, di cui ella sino a quel punto non avea sospettato neppure la possibilità, e che aveva dato da pensare all'esperimentato Bruni.


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Cent'anni
di Giuseppe Rovani
pagine 1507

   





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