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      Fin dalle prime parole che gli rivolse l'attuaro, Lorenzo potè accorgersi, acuto com'era naturalmente e penetrativo e scaltrito dall'esperienza, che chi lo esaminava gli aveva una singolare avversione; perchè non era quella consueta severità del giudice verso il reo, ma una severità speciale, trovata e adoperata espressamente per lui, rinfocata dalla natura speciale di quella da lui commessa contravvenzione alla legge, e più che mai dall'intento di quella contravvenzione stessa.
      La madre della contessa Clelia aveva un fratello senatore, la sorella del senatore era la moglie del marchese Recalcati, in quell'anno regio capitano di giustizia, uomo integerrimo e giurisperito profondo. Il marito della contessa aveva un fratello, il quale, avendo provato che la sua illustre casa erasi stabilita a Milano da più di un secolo, aveva potuto entrare nel collegio dei nobili dottori. Ora questo dottor collegiale era intrinseco del vicario di giustizia, carica corrispondente a quella che, se non oggi, alquanti anni or sono, chiamavasi di vicepresidente del tribunale criminale. Ognuno può imaginarsi quanto alla contessa madre e al conte marito e a tutto il parentorio premesse, se non l'innocenza di donna Clelia (ormai improbabile, perchè la di lei fuga aveva chiuse le porte a tutte le speranze), almeno l'apparenza di quella. Nei primi giorni adunque dopo la sua scomparsa, se calde e affannose e insistenti e continue furono le ricerche praticate dappertutto per poter scoprire dove ella si fosse ridotta; ricerche che, sino a quel punto, non avevano fatto altro che accrescere il dolore e la desolazione; furono calde e affannose del pari le pratiche, le preghiere, le insinuazioni che la sorella adoperò col fratello, che il cognato senatore fece pesare gravemente sulle spalle del cognato capitano, che il dottor collegiale, mediatrice l'amicizia, fece penetrare nelle ossa del vicario; e siccome eran tutta gente di legge, ossia gente avvezza, in mancanza d'un codice preciso e determinato, a giuocar di testa e d'acume e di sofismi e di cavilli nel labirinto inestricabile delle leggi statutarie, così non affaticarono a conchiudere, che, dopo tutto quello che era successo, non era ancora provato che donna Clelia fosse quel che si voleva che fosse; perchè dal suo labbro non era uscita confessione nessuna, essendo caduta in deliquio; che Lorenzo Bruni poteva, anzi doveva essere un briccone matricolato, e Dio sa quale scopo abbominevole aveva potuto proporsi, e forse della stessa scomparsa di lei poteva essere l'autore egli medesimo.


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Cent'anni
di Giuseppe Rovani
pagine 1507

   





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