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      IX
     
      Or lasciamo per poco Milano, la Babylo minima di Ugo Foscolo, e rechiamoci a Venezia, la cittŕ adottiva del chiaro di luna, del romanticismo convenzionale e degli amori pseudo-platonici. O Venezia! Oppure Vinegia, come noi preferiamo di chiamarti per appagare un nostro gusto da antiquario, quante fantasie di poeti hai tu stancate; quanti romanzieri hai raggirati lontano dal vero, attraverso all'inestricabile labirinto delle tue calli; a quanti esageratori di professione hai fatto prestito grazioso della tragica tinta de' tuoi palagi secolari e dell'onda stigia de' tuoi rii, saturi di gas fosforici e di quel jodio che č tanto lodato per la cura della scrofola! Quante bugie, senza tua colpa, hai fatte pronunciare agli storici, che pure, con un coraggio da leone, s'incaricano di dire la veritŕ! Quanti femori e coscie e stinchi hai tu infranto colla pietra bianca de' tuoi ponti traditori! A quanti giovinotti hai fatto perdere l'appetito e la salute ricoverandoli insidiosamente sotto al felze delle tue gondole! Quanti odorati squisiti e permalosi hai offeso coll'odore infesto del tuo baccalŕ! Quante spregiate crete Versâr fonti indiscrete dalle tue altane e dalle tue finestre plebee sul capo dell'ansioso visitatore delle vetuste tue glorie! O Venezia, o, come ci piace meglio, Vinegia, tanto straordinariamente bella e fantastica e divina, quanto, in certe parti, difettosa e incomoda e talora fetente! O regina dell'Adriatico, o donna di duplice aspetto, che rendi veraci tutte le descrizioni perchč, al pari della fata Alcina, ti mostri in apparenza di vegliarda a mettere in fuga chi pure č venuto a visitarti colle migliori intenzioni; ma per chi ben ti contempla, sei bella e giovane ed attraente e divina cosě, da ammaliare Ruggero.


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Cent'anni
di Giuseppe Rovani
pagine 1507

   





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