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      Ai quali argomenti che mettevano in chiaro l'assenza d'ogni colpa per parte del Bruni, di cui tesse l'elogio riferendo le attestazioni della stessa Gaudenzi, della quale pure lodò la vita senza rimprovero, come portava la pubblica opinione; fece osservare che non sarebbe avvenuta nemmeno la materiale contravvenzione alla legge, se la magistratura non si fosse imposta un obbligo che veniva a ferire il diritto comune, l'obbligo cioè di considerare come intangibile dalla legge e persino dai sospetti la nobiltà di una persona, dalla quale precisamente si dovevano incominciare le indagini. E qui riferiamo un passo, che ci pare assai squisito: «Nè io credo nemmeno che potesse andar offeso il carattere della nobile contessa se fosse stata interpellata in giudizio; chè forse quelle voci vituperose che or circolano in pubblico contro di lei, sarebbero state trattenute da una parola detta in tempo al giudice; così invece, tanto più l'opinione si compiace a denudare e ad esagerare le colpe di una persona, quanto più s'accorge che la magistratura discende dal suo nobile seggio, al punto di tentar di scambiarle le carte in mano e d'ingannarla.»
      Questa difesa, quando fu letta, fece l'effetto che naturalmente doveva fare, quello cioè di tirar addosso al giovane Verri tutta l'iracondia della magistratura.
      Quasi contemporaneamente a questo scritto, fu presentata al Capitano di giustizia la difesa di Benedetto Arese, una cosettina magra e che per se stessa non poteva certamente essere il tocca e sana per le disgrazie del cantante di camera di S. M. il re di Spagna.


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Cent'anni
di Giuseppe Rovani
pagine 1507

   





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