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      La contessa non aveva bisogno delle ville del marchese... ma bensì che a tutti rimanesse celata la sua tresca vergognosa... Se dunque le signorie loro vogliono venire a capo di qualcosa... giacchè hanno voluto mandare ad arrestar me, sino a Venezia... me che non poteva avere, come non ho interesse nessuno nelle cose del marchese defunto... sicchè un tale sospetto mi fa venir voglia di ridere; mandino ad arrestare la signora contessa, e salterà fuori, lo scommetto, quel che si vorrà. La mia condizione è tale anzi, V. S. mi perdoni, che mi dà il diritto di pretendere che la contessa venga chiamata a Milano... Io che ho sopportato e sopporto la pena delle colpe altrui, il che non è giusto... V. S. perdoni questo sfogo alla mia infelice posizione...
      L'auditore non disse nulla, e si volse al capitano, il quale dopo alcuni momenti di silenzio:
      - Potete rimandarlo in carcere, disse. Per oggi basta.
      Il Galantino fu ricondotto in prigione; il capitano e l'auditore, quando furono soli:
      - A me par di sognare, disse l'uno. - Io casco dalle nuvole, disse l'altro...
      Ma intanto che l'uno e l'altro attendono a riaversi dallo stupore, noi siamo sollecitati dall'amore che portiamo a donna Clelia, a dichiarare al lettore che tutto ciò che disse il Galantino era una sua perfida invenzione per vendicarsi della contessa... Invenzione però che fe' presa in giudizio, e fu occasione di una stranissima combinazione di cose, nella quale il costituito Suardi, tanto esperto giuocatore, non giuocò, di certo, la sua carta più fortunata.


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Cent'anni
di Giuseppe Rovani
pagine 1507

   





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