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      Ma chi era quel servo, e a nome di chi veniva? Già noi non intendiamo di fare una sorpresa; son cose presto indovinate. Lo Scudo di Francia era allora tra' più sontuosi alberghi di Venezia. Il conte V... ch'era entrato la sera in città, in quella barca precisamente della quale la contessa Clelia, non presaga di nulla, aveva veduto alla lontana luccicare il fanale, era disceso a prendere alloggio a quell'albergo appunto, e in compagnia del suo più fido servo, il quale era già stato suo caporale al reggimento. Preso uno degli appartamenti più ricchi dell'albergo, abitava il piano superiore a quello ove Amorevoli s'era acconciato. La combinazione può parere strana per coloro a cui tutto riesce improbabile. Ma il tenore non era poi obbligato a prendere alloggio in una bettola, e il conte, per quanto fosse conte e colonnello, non aveva diritto nessuno di alloggiare nelle camere del Doge. Onde se si trovarono ambedue in quell'albergo, la cosa è tanto verosimile, che quasi sarebbe inverosimile la sua contraria. Ma di ciò non è questione. Il conte V... era dunque venuto a Venezia con intenzioni terribili... in questo almeno era logico: o non muoversi affatto da Milano e bever l'onda di Lete, ciò che invero sarebbe stato atto prudentissimo, chè il suo decoro, non ne andava di mezzo per nulla; o, giacchè erasi mosso, doveva averlo fatto per qualche cosa. Lungo il viaggio aveva meditati, come sappiamo, o almeno come si può congetturare, cento progetti, che tutti gli pareano eseguibili e tosto: ma appena furon tolte le distanze, che a lui erano sembrate il solo ostacolo all'ira sua ed alla sua vendetta, se gli rimase l'ira, si trovò impacciato sul modo di scaricarla agli altrui danni.


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Cent'anni
di Giuseppe Rovani
pagine 1507

   





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