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      - Mi pare che non si tratti d'astronomia, rispose il conte Pisani. Il doge ha bisogno di parlarvi per cosa d'importanza.
      - Il doge? ma perchè il doge? domandò allora la contessa alquanto turbata, e alzandosi da sedere.
      - Vogliate essere tranquilla, contessa. Il doge non mi disse veramente di che si trattasse, ma il suo aspetto era calmo. Onde non è a temere di nulla. Forse, chi sa, sarebbe occorso che vi presentaste ai Dieci. Ma i Dieci e il doge hanno forse voluto cogliere l'occasione di un ritrovo quasi pubblico e di una spontanea intervista per potervi parlare. Del rimanente un tale desiderio del doge è noto a me solo. A voi pertanto non resta che di accettare l'invito della contessa mia moglie, e onorare l'accademia della vostra presenza, come naturalmente avreste dovuto fare se foste stata un po' più amica di noi.
      La contessa stette un istante in silenzio, poi disse:
      - Ebbene, verrò...
      E un impeto di gioja occultamente le innondò l'animo; la gioja del trovarsi costretta a far quello che assolutamente non avrebbe mai fatto per sè stessa, ma che aveva desiderato con ansia affannosa.
      Il conte Alvise partì. Ella chiamò le cameriere, e:
      - Mi è forza andare in casa Pisani; ajutatemi come si può meglio e di gran fretta a vestirmi.
      Ella tremava in tutta la persona, e il fuoco dalle membra convulse le era salito sul volto. La pupilla erasele fatta ardente più del consueto, e un raggio insolito le lampeggiava tra ciglio e ciglio.
      A recarsi in casa Pisani per volontà propria erale in prima sembrato una colpa gravissima, onde s'era trattenuta in casa; ma le parole del conte Pisani le avean fatto parer quella visita un atto indispensabile; sicchè il desiderio le fece afferrare con cieca fidanza quel pretesto per illudersi da sè medesima.


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Cent'anni
di Giuseppe Rovani
pagine 1507

   





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