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      - Oh che noja, caro signor conte Algarotti. - Per fortuna che Tartini cominciò l'adagio d'introduzione, e il conte dovette permettere che la contessa, trasportata dalla seduzione di quello stile incantato, s'immergesse con tutta l'anima nell'onda voluttuosa della sua passione. Dall'adagio d'introduzione passò il Tartini al secondo pezzo che è a due tempi e da questo alla terza parte, la quale consiste appunto nel trillo del diavolo.
      La forza, la soavità, il fremito, la grazia, l'estensione incalcolabile della voce che usciva dal suo violino, erano cose che non si erano mai udite anteriormente a lui, e infatti egli era stato il primo a trovare come la forza che deve spingere l'arco debba radunarsi tutta nelle falangi delle dita; e a far in modo che la mano, all'attaccatura, sia così pieghevole che sembri slogata. Da questi segreti venne senza limite accresciuta la potenza del violino, il quale, allorchè viene sotto la pressione di una mano così ammaestrata, ma che riceva l'impulso da un gran talento musicale, da una fibra nervosa e da un cuore agitato dalla tempesta delle passioni, come avveniva appunto in Tartini, e come lo fu poi in Viotti alcuni anni dopo, e al grado massimo, e fuori quasi dei limiti naturali, in Paganini mezzo secolo dopo, è lo strumento che più fruga ne' precordj a mettere in esaltazione lo spirito. Non era dunque codesto il farmaco migliore pei nervi in parossismo della contessa!
      Dopo il pezzo di Tartini, Luchino Fabris, l'imitatore di Egiziello, ebbe la disgrazia di cantare l'arione dell'Euridice, che per verità era il suo cavallo di battaglia, ma dopo, non diremo l'entusiasmo, ma le convulsioni provocate dalla suonata del Diavolo non fece nè freddo nè caldo.


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Cent'anni
di Giuseppe Rovani
pagine 1507

   





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