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      Ma a riscuoterlo entrò improvviso don Alberico che gli disse con accento di meraviglia:
      - Or che fate lì rincantucciato? E la sua voce risuonò in quel profondo silenzio: chè tutti i servi si erano allontanati.
      Alla voce di don Alberico, la quale distintamente arrivò fin all'orecchio dell'ammalato, rispose un sospiro grave, anzi un gemito rantoloso dell'ammalato stesso. I due, scossi da quel gemito, stettero un momento immobili e senza quasi tirare il fiato.
      - Or su, coraggio, dica pur tutto.
      Era il prete che parlava; ma il prete quasi nel punto medesimo usciva, e vedendo i due:
      - Presto, si chiami qualcuno, che al padrone è sorvenuto un deliquio. - E diede egli stesso una strappata al campanello, e s'udì lungo le sale silenziose l'oscillazione prolungata del filo metallico.
      Accorse incontanente la vecchia cameriera, ed entrò col prete nella stanza del conte.
      - Or vedete, disse allora il Rotigno a don Alberico, i buoni effetti da me pronosticati di queste negre sottane.
      - E che si doveva fare? rispose il giovane.
      Dopo una mezz'ora il conte erasi tanto quanto riavuto, onde don Giacinto, fatta di nuovo uscir la vecchia, ripigliò la confessione.
      Ma ora non creda il lettore di potere, introdotto da noi in quella stanza di morte, mettere la testa tra le orecchie del prete e la bocca del conte. No; di quella confessione noi non sappiamo nè principio, nè mezzo, nè fine. Chè il sacramento della penitenza non è costituto criminale, e non si traduce in processo verbale a saziare la curiosità dei posteri curiosi.


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Cent'anni
di Giuseppe Rovani
pagine 1507

   





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