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      L'attuaro, a queste parole, guardō al signor capitano di giustizia, che a quella tacita interpellazione:
      - Or si rimandi in prigione, disse.
      E gli sbirri condussero fuori il Galantino.
      - Che vi rimane adesso da aggiungere? disse l'attuaro al cameriere.
      - Io non ho niente da aggiungere; son uomini questi che farebbero perdere la testa a chicchessia. Del resto io vivevo tranquillo in Cremona, all'albergo del Sole, e non avrei mai voluto recar danno nč a lui nč ad altri nč a nessuno, se non fossero venuti espressamente a cavarmi di lā e a tirarmi a Milano per forza. Questo io dico perchč V. S. si persuada della veritā delle mie parole, e che non ho mai ingannato nessuno al mondo, e vorrei che il Signore Iddio mi castigasse qui se mai ho detto il falso.
      A queste parole venne rimandato anche il testimonio Barisone, fattagli intimazione di non uscire da Milano fin che non ne avesse avuto il permesso dall'autoritā; per la qual cosa venne chiamato nella sala anche il giovane causidico Benaglia, a cui fu parimente intimato che, sotto la sua responsabilitā, il cameriere dovesse restare a Milano sino a nuove disposizioni.
      E il capitano di giustizia, che si attendeva di venire al chiaro d'ogni mistero in quella notte, trovō invece d'aver raggruppato di pių il nodo nel tentare di scioglierlo, avendo bensė la convinzione morale invincibile della reitā del Galantino, ma non avendo le prove legali per condannarlo; anzi non avendo raccolto, a rigore, nemmeno gl'indizj legittimi per metterlo alla tortura, come egli avrebbe creduto opportuno, e come e l'attuaro e gli assessori e gli auditori consigliavano ad una voce.


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Cent'anni
di Giuseppe Rovani
pagine 1507

   





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