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      Era quella insomma una bella e buona compagnia, e non sapremmo se oggi se ne potrebbe mettere insieme una migliore.
      Il Parini aveva allora trentasette anni, e quantunque, per mangiare, dovesse ancora arrabbattarsi a dar lezione, chè assai poco gli fruttava l'avere avuto dal conte Firmian l'incumbenza di stendere la Gazzetta Ufficiale di Milano, pure era già la figura più gloriosa della città. Erano usciti il Mattino e il Mezzogiorno; e risuonava delle sue lodi tutta Italia, ed avea già ottenuto di frenare il mal gusto che aveva straripato a furia per un secolo e mezzo; di ricondurre l'arte alle sue limpide e severe sorgenti, e di farsi odiare da una mezza dozzina di nobilissimi milanesi, che ebbero l'orgoglio di voler vedere sè stessi nell'ideale dipinto dell'immortale poemetto; tra' quali spiccava quel conte Alberico F..., con cui ci troveremo; il qual conte Alberico volle disputare al principe B... il vanto di aver tentato di consacrare ad una vindice bastonatura le povere spalle dell'abate scellerato.
      Ma l'abate impaziente, irrequieto e versatile, passava così zoppicando da un crocchio all'altro, parlando di musica colla bella Agnese, e digredendo, a proposito della mano di lei che scorreva sui tasti di un gravicembalo, sulle qualità indispensabili, costitutive d'una bella mano; e contraddicendo Londonio che voleva sfoggiare la sua dottrina in ciò, e contraddicendolo con apparenza di violentissima enfasi, per finir tutto in celia e lasciar scornato l'avversario comico, il quale, quell'unica volta, avea parlato sul serio; chè era codesto un modo caratteristico del conversare di Parini, come ci vien riferito anche dal suo scolaro e biografo Reina.


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Cent'anni
di Giuseppe Rovani
pagine 1507

   





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