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      Da ciò dovettero originare disgusti e malumori e alterchi tra lui e la madre, la quale finiva in pianto le sue querele, lasciando il figlio desolato e pentito e pieno di proponimenti di cangiar vita. Però la tristezza gli si era confitta nell'anima al punto, che la giocondità anche passeggiera non era più una condizione naturale del suo spirito, ma un effetto artificiale delle bevande spiritose, delle quali ormai non poteva più far senza, perchè erano il solo mezzo che gli era rimasto a dar qualche istante di requie all'anima travagliata, press'a a poco come chi fa tacere lo stridore dei denti col versarvi sopra l'alcool addormentatore.
      Insistendo sul qual fatto, egli è a considerare come dall'infanzia alla fanciullezza, alla giovinezza, avendo egli sempre avuta dinanzi la figura turbata e piagnolosa della povera sua madre, necessariamente gli si venne invelenando l'esistenza; sentendo a parlar sempre di miserie, e vedendo sempre la disgrazia in casa, il suo spirito avea, per questo lato, contratta quasi l'abitudine del timore, come que' fanciulli che, percossi continuamente da madri spietate, si rannicchiano tremanti ad ogni alzar di braccio che pur si mova per tutt'altro. Così anche allora che non v'erano occasioni che potessero presagire infortunj, egli viveva col sangue agitato, e paventava miserie che non solo non eran probabili, ma impossibili. Su questa condizione, diremo fondamentale, della sua esistenza, si vennero poi radicando altri sentimenti profondi. Un odio implacabile contro ai ricchi e ai nobili, che usciva affatto dalla ragionevolezza e dalla giustizia, ma che pur troppo era spiegabile in chi era stato ed era ancora la vittima d'uno di loro, e pareva dovesse portarne le conseguenze in perpetuo.


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Cent'anni
di Giuseppe Rovani
pagine 1507