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      Gli uomini della scienza le davan prove quotidiane della loro stima, le gentildonne giovani e belle l'ammiravano senza invidiarla, perchè più non temevano in lei chi potesse loro disputare il primato, o rubar qualche amante sul terreno sdrucciolevole della galanteria. Ben è vero che quella sua poderosa beltà romana, col crescere degli anni, non avea punto scemato, se forse non era diventata più solenne; ma la toga scientifica e la cattedra dove saliva a dettar matematica, la facea considerar loro come una donna sui generis, più atta a destare il senso dell'invidia nei colleghi professori che in esse.
      I giovani galanti poi la circondavano con un'ammirazione piena di premura, ammirazione in cui, se non per tutti, per alcuni almeno, si nascondeva pure qualche altro sentimento; ma quelli che lo nutrivano in secreto rimanevano paghi d'un discorso che loro ella rivolgesse, d'una approvazione che accordasse, persino anche dell'opposizione che lor facesse in una disputa qualunque. Magnifica e severa precisamente come una Minerva (perchè, se come tale l'abbiamo dipinta ne' suoi anni giovanili, nell'età matura non v'era chi potesse contrastarle un tal predicato), ella serbava un contegno, che al giovane più fervido ed audace, perfino alla stessa ebrietà tracotante avrebbe fatto gelar la parola in bocca.
      Ella però (le donne sono sempre donne, ed anche gli uomini non canzonano) si compiaceva tra sè e sè, indovinando quel che si celava sotto quell'ossequio. Per tutto ciò adunque, ritornando quella sera a casa, si lodava della propria sorte, e pensava che quasi poteva chiamarsi felice se avesse avuto seco la sua Ada, e d'uno in altro desiderio, affrettava il giorno di farla uscir di convento per tenersela ognora a fianco e deliziarsi tutta in essa.


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Cent'anni
di Giuseppe Rovani
pagine 1507

   





Minerva Ada