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      La contessa, a tutta prima, quasi fu per acconsentirvi; ma poscia, nauseata di quel che le era occorso a Venezia, e nel tempo stesso temendo da quell'uomo ogni peggior cosa, gli mandò a dire che non riceveva nessuno lungo il viaggio; ch'ella si recava a Milano, e che là egli avrebbe potuto parlarle. Il Galantino insistette ancora, e a tal segno, che la contessa dovette interporre l'albergatore medesimo, per non essere importunata d'avvantaggio.
      Il Suardi, all'imbasciata dell'albergatore, con ostentato sussiego:
      - Dite alla signora contessa, rispose, che l'oggetto per cui aveva a parlarle interessava lei e non me. Non si trattava che d'un atto di riguardo che m'ero imposto. Pur faccia come vuole. A Milano si accorgerà di aver fatto male a non ascoltarmi. Riportatele queste mie parole, e fate attaccar subito i cavalli.
      L'albergatore riferì tutto alla contessa, ma ella, sebbene le si fosse accresciuta l'affannosa curiosità a quelle parole, non si smosse e rispose:
      - Va bene.
      Il Suardi, sconcertato nel suo disegno, dovette ritornare a Milano, in bocca al lupo, come si suol dire, ma non gli rimaneva a far altro. Lungo il viaggio pensò come quel primo tentativo fallitogli poteva, arrivata che fosse la contessa a Milano, offerire un indizio per mettere gli occhi su lui. «Mi son trovato in impacci ben più gravi di questo (rifletteva egli tra sè) e non mi son lasciato mai intimorire da nessun ostacolo. Anzi gli ostacoli quanto più eran serj mi servivano quasi di mezzo ad ottenere tutto quello che volevo.


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Cent'anni
di Giuseppe Rovani
pagine 1507

   





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