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      In una v'erano i ritratti nuziali di lui e della contessa. Ma quello della contessa, a pompa di cordoglio e forse a segno di condanna, fino da quindici anni addietro era stato coperto da una tela nera. Fermatosi a guardar sè stesso nel ritratto dipintogli dal Porta, gli venne la tentazione, certo in conseguenza del pensiero che il dì dopo doveva recarsi dov'era la moglie, di alzar quella tela, e l'alzò infatti; e si mise a contemplar la contessa effigiata al vivo, e bella della trascorsa bellezza di diciotto anni. Strane idee gli passarono in mente a quella vista, e fisso in quella contemplazione si mise a sedere su d'un'ampia poltrona che strascinò rimpetto al ritratto.
      La mattina, quando il servo entrò nella stanza da letto per isvegliarlo, secondo l'ordine avuto, non avendolo trovato, passò, così a caso, d'una in altra camera, intimorito e pieno di meraviglia quando vide il padrone addormentato in faccia al ritratto della padrona, su cui la candela di cera, quasi tutta sgocciolata, mandava la luce di una fiamma intermittente, larga e rossastra.
      Pure il conte V... e il Galantino e il Baroggi e l'avvocato Strigelli, se furono turbati nel sonno, poteron pure sfiorarlo qualche poco, o la stanchezza chiudesse loro per forza gli occhi, o l'inquietudine fosse placata da qualche pensiero confortevole, vero o falso che fosse; ma la contessa Clelia era da quasi cento ore che non poteva dormire; aveva viaggiato senza riposo; appena giunta a Milano non ebbe che oppressioni assidue di corpo e di spirito; la stanchezza fisica non le concedeva quasi più di reggersi in piedi; tanto che nell'ultimo giorno di quando in quando le cadevano le palpebre oppresse da una pesantezza invincibile, ma tuttavia non fu mai possibile che il sonno la involasse un momento al suo affanno.


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Cent'anni
di Giuseppe Rovani
pagine 1507

   





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