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      - La confusione di Babele, in una parola; va benissimo.
      - Mi pare, caro mio, che tu prenda la piega di spropositare.
      - Bada che ho viaggiato, e ho buona memoria, e ho tutte le piazze d'Italia in testa e ho sempre avuto una certa inclinazione per l'architettura.
      - E nemmeno io posso dire d'esser sempre rimasto a Milano, e se ti cito San Pietro e San Marco, vuol dire che li ho visti; in quanto poi al resto, se tu sei amico dell'architettura, me ne congratulo tanto; ma anch'io schicchero, così per passare questi giorni lunghi, qualche quadruccio di prospettiva sotto la direzione del Bibiena, che ha ingegno da vendere e fantasia da regalare al tuo Cantoni. Tutta la sua disgrazia sta che la moda or pare che abbia preso di mira il suo genere; e la peggior disdetta è che la moda non si fermi alle parrucche, ai topè, ai puff, ma pretenda di sedere in cattedra a dar le leggi dell'arte.
      - Ma a che cosa vuoi riuscire con tutte queste?...
      - A ciò, che non basta nè l'aver viaggiato nè l'aver studiato, ma bisogna avere quel che si chiama buon occhio, buon gusto e criterio.
      - E tu sei così riccamente provveduto di queste tre cose, che per gli altri non è rimasto indietro nulla. Anche questo vuoi dire?
      - Non pretendo tanto; ma mi viene bensì qualche assalto di superbia quando mi trovo in faccia ad uno il quale mi dice che la varietà ha per conseguenza la confusione; e che ignora quel gran principio dell'arte vera, e quel segreto con cui il genio, e senza incomodare il genio, anche l'ingegno riesce a colpire di meraviglia gli osservatori; ed è quello appunto di saper far sì che l'unità trionfi nella varietà, - questo è il problema da sciogliere.


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Cent'anni
di Giuseppe Rovani
pagine 1507

   





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