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      Avvenne un giorno (ed egli era già salito alla sedia pontificia) che uno de' suoi camerieri venisse accusato di grave colpa. Pio VI precipitosamente, senza esame, senza processo, non solo lo discacciò da sè, ma lo fece sottoporre ad una gravissima pena corporale. Ora l'accusatore fu trovato bugiardo; che risultò evidentissima l'innocenza del povero sventurato, e che, per necessità legale, lo si dovette rimetter libero. Tuttavia Pio VI non pensò mai a ritornarlo alla sua prima condizione, e per quanto colui avesse pregato e fatto pregare la Santità Sua, e messo Roma sottosopra per ottenere una grazia, che infine non era che nuda giustizia, Pio VI non ne volle sapere, ed avendogli detto taluno che quell'uomo per l'insopportabile angoscia avrebbe potuto tentare qualche partito disperato, il padre santissimo non si mosse punto a pietà; e quando gli venne riferito che colui si era affogato nel Tevere, ascoltò quella notizia senza riscuotersi nè poco, nè assai, e tosto si volse ad altro.
      Di questi atti di vilissima crudeltà, il santissimo Pio VI ne commise più d'uno.
      Se non che, dopo quanto abbiam detto, sentiamo la necessità di convalidare le accuse con delle testimonianze; le quali accuse sono di tale enormità che, se, non avessimo avuto per testo che il Diario del citato Camillone, gli avremmo quasi negato fede; o, per dir meglio, non l'avremmo spinta al punto da farne un uso pubblico.
      Ma la testimonianza del Camillone si trasmuta in valida autorità, e perchè è appoggiata dalla testimonianza d'un altro, e perchè è aiutata dalle qualità insigni di quest'altro appunto.


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Cent'anni
di Giuseppe Rovani
pagine 1507

   





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