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      Queste categorie d'uomini non sentivano dunque l'esaltazione generale. Gli uni, o stavan celati, o passeggiavano nelle vie remote, o tutt'al più, se erano sollecitati dalla curiosità, traevano, sempre però a una rispettosa distanza, dove traeva il pubblico schiamazzante, e guardavano e notavano ogni cosa senza aprir bocca; o se l'aprivano a qualche evviva forzato, era perchè s'accorgevano che qualcuno li guardava in cagnesco.
      Pur, a dispetto di tutti costoro, rimanevano quanti bastavano per affollar piazze e contrade, e per empir l'aria romana di acclamazioni, di evviva, di grida. V'erano intanto tutti gli uomini di Trastevere, nei quali il vecchio sangue latino è trapassato senza alterazioni d'innesti spurj; uomini ignorantissimi di tutto quello che sta oltre la cerchia romana, e che credon che il Tevere vada in Francia e in Inghilterra e in America e in tutto il mondo conosciuto; ma perciò appunto orgogliosissimi di esser romani. La storia della loro patria è per essi passata di bocca in bocca attraverso a venti secoli, per raccogliersi e far sosta nel loro rione; onde parlano ancora di Giulio Cesare, e Cicerone, e Catilina, e Bruto, e Catone, e Pompeo come se fossero loro fratelli e li avessero visti a crescere, e avessero bevuto con loro il falerno nell'anfora stessa; uomini che, per questa parentela, sentono il privilegio di un'aristocrazia speciale e guardano d'alto in basso quanti stranieri, comunque grandi e illustri, vanno per curiosità a visitarli; e lor parlano col tu di Roma antica, e ad un bisogno, senza tanti rispetti, anzi in atto di protezione, mettono loro sulle spalle le mani poderose.


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Cent'anni
di Giuseppe Rovani
pagine 1507

   





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