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      Un raggio importuno di sole, attraverso una tenda stata innalzata per far ombra, annaspandogli la vista, lo aveva costretto a piegare innanzi il caschetto piumato e a tirar l'ala fin quasi sul naso. Della faccia si scorgevano perciņ soltanto i baffi enormi congiunti a delle enormi fedine, che finivano precisamente alla regione della bocca, lasciando rasa la parte inferiore delle mascelle e il mento. Chi lo guardava dal basso in alto vedeva a girare di sotto all'ala del caschetto un pajo di pupille piene di lampo provocatore e protervo, al quale aggiungevano una tinta sinistra tutte le parti alterate della cassa dell'occhio, come di chi, non ostante una tempra robustissima, deve adattarsi a portare in qualche parte le impronte degli stravizj, delle veglie abusate, degli abusati liquori. Quell'uomo aveva allora quarantotto anni, ma non ne dimostrava quaranta, perchč la barba foltissima e perfettamente nera faceva le spese delle parti alterate del viso, e la corporatura lunga, elegante, forte, asciutta, come quella di un tigre reale maschio, con delle coscie atletiche di cui i muscoli si pronunciavano di sotto alla pelle di daino tinta in rosso, faceva le spese di tutto il resto. Egli, durante l'intermezzo dal primo al secondo atto, senza cambiare posizione, teneva fisso lo sguardo, dove lo tenevano fisso quasi tutti gli spettatori che si trovavano presso a lui o in quel raggio di veduta. Ciņ che attirava quegli sguardi e provocava le domande, i discorsi e i commenti di tante persone, erano due persone.


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Cent'anni
di Giuseppe Rovani
pagine 1507