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      Un ordine di guerra non potendosi trasgredire per nessun conto, il capitano Baroggi dovette partire, e partì. Al pari dell'accusato innocente, che sente chiudersi dietro l'uscio del carcere, dove ha da rimanere Dio sa per quanto tempo, così rimase donna Paolina nella casa materna, disperata, trasognata, quando all'ora consueta della visita quotidiana non vide entrar più il suo giovane amico dalla solita porta, alla quale il suo sguardo irrequieto volgevasi più e più volte, se la sfera dell'orologio mai avesse segnato un minuto di più!
      Prima di partire, com'è naturale, ella e il Baroggi fermarono di scriversi, per trovarsi in quella comunicazione spirituale e d'immaginazione, che è l'unico sollievo nel dolore della lontananza. Ma anche qui nacque un incaglio, che la nonna pretese di legger prima le lettere così del capitano, come della nipote. Pretesa assurda e tirannica, e tale da rendere illusoria ai fidanzati la consolazione dello scrivere. Le lettere ove due innamorati si versano interi nell'effervescenza dell'affetto e dell'affanno, possono elle subire prima la censura dei vecchi rugiadosi e dei giudici indifferenti e spietati? Di quelle lettere adunque non ne furono scritte che un pajo, e anche queste per obbedienza; poi donna Paolina, nella più fiera desolazione dell'animo, si concentrò in sè stessa e si tacque. Piuttosto che scrivere quello che non pensava e non sentiva, piuttosto che distruggere la parte più viva di ciò che le dettava il sentimento in tumulto, si accontentò del silenzio.


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Cent'anni
di Giuseppe Rovani
pagine 1507

   





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