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      Ma lo sguardo onde la disgraziata fanciulla saettò la nonna, appena si accorse dove andava a finire il suo discorso, fu tale, che la contessa non ebbe più il coraggio d'andare avanti, e non ne fece altro per allora, senza però dimettere la speranza che un giorno o l'altro si sarebbe piegata al suo volere.
      Quanto al Baroggi, dopo aver continuato per tanti giorni a sopportare un dolore morale superiore a qualunque spasimo fisico, risolse di mandare a Milano un giovane, col quale erasi stretto in amicizia a Piacenza e al quale aveva confidato la condizione deplorabile in cui trovavasi. L'amico accettò l'incarico, e venne a Milano. Recossi in casa V..., perchè non c'era nessuna ragione che la visita fosse clandestina. Trovò le tre donne insieme. Naturalmente il discorso cadde sul Baroggi, e sul quando sarebbero finite le pratiche per conchiudere il matrimonio. La contessa Clelia colse un pretesto per far uscir di camera la fanciulla, la quale obbediente in apparenza, come una pecora avvilita, uscì senza far motto. Ma quanta disperazione l'amico del Baroggi lesse in quell'obbedienza muta!
      Questa volta però la contessa, volendo troppo, ruppe l'incantesimo della sua inesorabile autorità. Se donna Paolina non fosse uscita in quel punto, non sarebbe nato quello che nacque.
     
     
      IV
     
      Quando donna Paolina fu uscita, si ritirò nella propria stanza, e prese subito il partito di scrivere questo letterino al Baroggi:
      «Se Dio mi ajuta, spero che potrò consegnare all'amico che qui hai mandato queste righe, che finalmente scrivo perchè non saranno lette che da te, il solo che abbia diritto di leggerle, ed il cuore per comprenderle.


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Cent'anni
di Giuseppe Rovani
pagine 1507

   





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