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      Queste cose io le sentii a Parigi da un commesso viaggiatore, e vi ripeto che due o tre case di banchieri, dove probabilmente ci sarà stato da piangere qualche giovane soldato morto sotto il ghiaccio, la misero sgarbatamente alla porta.
      Queste parole franchissime, pronunciate in una pubblica osteria da un corriere pagato dal governo, dimostrano come fosse cessata, per il momento almeno, l'idea della sterminata autorità napoleonica, e come ognuno desse libero sfogo ai proprj sentimenti, avendo ritornato il dio alle proporzioni dell'uomo. I cittadini milanesi, seguendo l'impulso di quell'indole che ne costituisce il carattere speciale (ed è quello di trar materia di ridere anche da qualunque sventura), ricamavano di barzellette e dicerie ed epigrammi la tremenda epopea tragica di Napoleone; ma perchè non si creda che fossero spietati dell'altrui sventura, convien dire che continuavano le celie anche allorquando del gran disastro napoleonico, essi insieme col resto dell'impero, dovettero adattarsi a pagar le spese per tentar di rifare il disfatto colosso.
      Ognuno sa come, appena Napoleone fu giunto a Parigi, a tutt'i sudditi del vasto impero fu fatto intendere dai ministri, dai prefetti, dai sottoprefetti, la necessità di fare a Sua Maestà delle oblazioni volontarie. Per fermarci a Milano, tutti i corpi pubblici mandarono copiosi doni all'imperatore; tutti i magistrati, tutti gli impiegati, tutte le classi cittadine, i banchieri, i negozianti, i giojellieri, gli orefici; gli ordini degli avvocati, dei notai, dei ragionieri, dei medici fecero a gara nell'offrir danari e doni, in virtù di quella volontà comandata, che spesso è più forte della volontà spontanea.


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Cent'anni
di Giuseppe Rovani
pagine 1507

   





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