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      Già fin dal dicembre, quando Napoleone a grandi giornate s'affrettava a Parigi, erano corsi per tutte le mani i seguenti distici:
     
      Napoleon quondam Magnus cognomine dictus,
      Nunc merito in castris dicitur exiguus.
      Coelo ipsum petiit furibunda superbia regis,
      Dementem regem deprimit ipse deus.
      Funditus absorpta est, Bonapars, victoria; avitos,
      Si poteris, satis est, tutus adire lares.
     
      Nei primi mesi dell'anno 1813 il cavaliere Aldini scriveva incessantemente ai ministri del regno italico, perchè sollecitassero indirizzi da tutte le parti a felicitare l'imperatore, ad assicurargli attaccamento e fedeltà, a lodarlo dell'avere saputo scappare perfino all'ira degli elementi, a far voti per nuove e più gloriose vittorie; e tosto corse per Milano un epigramma, che si disse mandato da Roma da Alessandro Verri al fratello Carlo, che fu poi presidente della reggenza. Il conte Carlo lo lesse in privato a pochi e fidatissimi amici, coll'esortazione preliminare di non parlarne in pubblico, o almeno di tacerne l'origine. Ma, come al solito, il segreto fu sparpagliato ai quattro venti, e l'epigramma lo ebbero anche i cioccolattieri, che se lo fecero tradurre da qualche canonico. Eccolo nell'originale latino:
     
      Napoleon Regum dedecus, furumque magister,
      Quem tota abhorret progenies hominum.
      Attamen a cunctis laudari mandat et ambit.
      Nec pudet heroem se celebrare virum.
     
      A poco a poco però le satire scomparvero; un po' gl'indirizzi, un po' i giornali, un po' le notizie che venivano da Parigi, un po' il falso, un po' il vero; ma più di tutto il fatto che Napoleone delle oblazioni dei sessanta milioni di sudditi e dei mezzi finanziarj improvvisati per miracolo, e del novello esercito che si vedeva a comparire da tutte le parti, accennava di ristaurare il crollante edificio; tutte queste cagioni insieme fecero tale effetto, che l'ammirazione compressa ricominciò ad espandersi, che gli amori che parevano spenti si rinfocarono, che i suoi nemici vecchi si rintanarono, che i suoi devoti intiepiditi si riscaldarono ancora.


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Cent'anni
di Giuseppe Rovani
pagine 1507

   





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