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      Egli, come Alboino, non voleva degnarsi di domandar conto ad altri della fedeltà della moglie; egli lo diceva, e doveva bastare. Ma quell'orgoglio, in ragione che gli avea comandato di atteggiarsi da uomo calmo, gli avea addensato tanto livore e fiele nel fegato, che sentiva la tentazione di mordersi le mani per dargli uno sfogo meccanico qualunque. Egli pensava che se sua moglie fosse stata innocente, sarebbe stata e avrebbe dovuto essere la prima a manifestargli l'atto sfacciato del vicerè; pensava che questi doveva avere troppo timore di lui, per osare quell'atto, se non fosse stato certo che la contessa avrebbe taciuto. E qui, richiamandosi in mente le parole del vicerè, e le lodi da lui ricevute a nome dello stesso imperatore, si sentiva doppiamente umiliato, perchè sospettava che quella grande stima di S.M. poteva essere invenzione del vicerè stesso per abbonirlo e ingannarlo e tradirlo.
      Sentiva, per conseguenza, che non solo il vicerè non lo stimava, ma lo disprezzava come qualunque altro uomo volgare, credendolo degno di prenderlo al laccio e di scornarlo poi. E qui, invece di provare compassione per sè, che si era lasciato ingannare; di nutrire ira pel vicerè, che lo aveva disprezzato, sentiva colmarsi il petto di un veleno e di un odio mortale contro la propria moglie; argomentando che per sola sua colpa era nato tanto scandalo. - Povera donna! ed era innocentissima!...
      Il giorno dopo si recò a far visita al marchese F..., nella cui casa trovò anche l'avvocato Gambarana di Pavia:


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Cent'anni
di Giuseppe Rovani
pagine 1507

   





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