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      - Prima di tornare a Milano, sono venuto a trovarti, marchese.
      - Ti ringrazio, e ti prego di un piacere. So che qui l'avvocato t'ha informato della lite che m'è stata intentata dal Baroggi. Ebbene, avrei bisogno che tu parlassi al ministro di giustizia; so che lo conosci... e che ti mettessi in comunicazione coi due presidenti del tribunale e con quanti giudici tu puoi. Qui all'avvocato fu scritto che il vicerè, in tono minaccioso, ha già fatto sapere a quei signori ch'egli voleva essere informato dell'andamento di tutta la procedura, e che avrebbe vegliato perchè si adempisse alla più scrupolosa giustizia. E anch'io voglio la giustizia; ma dico nello stesso tempo che il vicerè comincia ad infrangerla col far pesare la propria autorità sull'opinione dei giudici.
      - Il ministro di giustizia è più tremante del vicerè che dell'imperatore. I due presidenti poi tremano del ministro. Dunque per quella via non c'è da fare nulla, marchese: ma io me ne occuperò in ogni modo; è tempo di farla finita anche con questo asino prepotente di vicerè. Eppoi, eppoi... le liti giuridiche sono solite ad andare fino alle calende greche. Dio sa dove sarà Beauharnais quando uscirà la sentenza finale dei tribunali!
      - Ma non vorrei che intanto mi si sospendesse l'amministrazione della sostanza in quistione... Starei fresco, caro conte!
      - È qui il nodo, soggiunse l'avvocato.
      E su questo tema quei signori continuarono a parlarne per un pezzo, e ne parlarono ancora quando accompagnarono il conte fino all'Ufficio delle Messaggerie del Moncenisio, il giorno della partenza di lui per Milano.


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Cent'anni
di Giuseppe Rovani
pagine 1507

   





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