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      In confronto di questo giovinotto, che è come l'organo di una cattedrale, quel maestro assomigliava agli organetti che insegnano il canto agli uccelli; eppure allora era detestato da tutti i suoi colleghi per il troppo rumore che aveva introdotto nella musica. Ora io sento a dire lo stesso di questo giovane, e i vecchi gli sono tutti avversi, e anch'io lo sarei, se avessi la metà degli anni che ho. Ma a questa età trovo giusto quello che non mi sarebbe sembrato mezzo secolo fa. In che modo stia quest'affare, non so. Ma forse avendo vissuto il doppio degli, altri, or mi trovo d'accordo coi giovani; press'a poco come chi, alla corsa dei fantini, avendo avanzato gli altri d'un giro intero, finisce col trovarsi in compagnia degli ultimi. E questo non avviene soltanto in musica; parlo della musica perchè sono in teatro, e perchè fu la mia professione; ma in tutto il resto m'è riuscito così. Mi ricordo quando giunsero in Italia le prime opere di Rousseau e di Voltaire. Io allora viaggiavo dai cinquanta ai sessant'anni, e quei libri mi scandolezzavano assai mentre la gioventù vi spasimava dietro. Or venne il famoso 89; io aveva vedute a quel tempo tante e così orrende cose nel mondo, e comprendendo tutt'intera la verità, compresi anche quello che non piaceva agli uomini di 60 anni e metteva in esaltazione i giovani di venti. I giovani capivano per istinto, io per esperienza. Avevo fatto mezzo giro di più che tutti gli altri uomini. Il sangue che si versava in Francia allora, trovavo che non era una strage inumana, ma bensì la cura dei salassi abbondanti fatti all'umanità minacciata di apoplessia.


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Cent'anni
di Giuseppe Rovani
pagine 1507

   





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