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      - Eh... pur troppo, rispose, sono anch'io del suo parere, signor cavaliere, e mi rincresce pel colonnello che ho visto nascere e a cui voglio bene; il quale, benchè siasi imparentato con una delle più nobili famiglie di Milano, il fumo non gli ha lasciato mai veder l'arrosto, perchè quello scavezzacollo di suo suocero ha portato via tutto ed ha mangiato tutto. Ma capisco anch'io che tutti i buontemponi, che si divertono alle spalle del prossimo, potrebbero tutti i giorni inventare dei testamenti, così a titolo di passatempo, mettere la confusione nei tribunali e la disperazione nelle famiglie.
      - In questo caso però dovrebbero essere stati i buontemponi di sessant'anni fa.
      E il giudice scandagliò ancora acutissimamente il Galantino.
      - Questo io non lo posso sapere. Bisognerebbe che, al pari del signor giudice, avessi potuto vedere il testamento. La carta, il carattere, l'inchiostro... che so io... Io ho delle scritture di quaranta, di cinquant'anni fa, che nessuno direbbe essere di quest'anno. Una tale diversità, secondo me, dovrebbe già costituire un indizio...
      - Come fa ella a dir questo?
      - Io sto alle parole del signor giudice; per qual cosa ella ha parlato dei buontemponi di sessant'anni fa?
      - Così per modo di dire...
      Qui il Galantino diede al giudice una di quelle sue occhiate oblique, saettanti, lunghe. Parve, per un momento, che si fossero scambiate le parti.
      Il cavaliere F... taceva.
      - Ora, se è lecito, continuava il Galantino, domanderei a che oggetto ella mi ha fatto venire a Milano?


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Cent'anni
di Giuseppe Rovani
pagine 1507

   





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