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      Ai nostri lettori, al pari che a noi, un tal fatto potrà sembrare, più che incredibile, assurdo: ma quanti abbiamo interrogato di coloro che avvicinarono il conte e poterono leggergli in fondo all'anima, alla quale di tanto in tanto eran guida ed interprete alcune sue fuggitive espressioni, ci assicurarono che l'idea di poter mettersi alla testa degli Italiani e di recarsi in mano la somma del potere, lusingò davvero per qualche tempo l'amor proprio di quell'uomo strano, le di cui più alte e più nobili attitudini vennero turbate dall'eccesso dell'orgoglio e dalla mancanza di cuore.
      Quando il conte fu per mettersi a letto, rammentandosi della ciarpa destinata per la guardia civica; si recò nel gabinetto della contessa, scoperse il telajo, e gli sembrò che il lavoro fosse in ritardo e mancasse il tempo necessario ad apprestarlo pel dì della rivista. Il sangue a tal pensiero gli andò al capo; tirò, strappò più volte il campanello. Comparve un servitore in mantello e mutande, tutto rabbuffato.
      - Chiama qui la Maria, presto! gli disse il conte.
      Venne una donzella discinta e sgomenta.
      - Tu e la tua padrona, che avete fatto in questi giorni? Nemmeno in un mese avrete finito.
      Le parole non eran che queste; ma l'aspetto del conte faceva paura, ma la sua voce era così forte, così furibondo l'accento, da mettere a rumore tutta la casa.
      Destata infatti da tutto quello schiamazzo, comparve la contessa frettolosa e tremante, e avvolta in un ampio scialle.
      Il conte la guatò, la saettò, la coperse di contumelie.


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Cent'anni
di Giuseppe Rovani
pagine 1507

   





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