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      Ma costoro, com'è naturale, non solo erano in pochissimo numero, ma conducevano una vita, che equivaleva al non essere, perchè non parlavano mai con nessuno, non dicevano mai il loro parere a nessuno; e se al teatro, all'osteria, al caffè venivano trascinati repentinamente nel vortice del tema consueto, sfoggiavano tosto tutta la loro bravura nella così detta arte delle cavatine. Care persone, ma meno utili delle cariatidi di molera; orologi perfetti e precisi, ma senza sfera che indichi l'ora.
      Un altro partito era quello dei vili, degli indifferenti, degli immobili, dei materialoni, degli imbecilli e dei bigotti; per conseguenza era il partito monstre e, pur troppo, era quello che aspettava l'Austria come un tocca e sana.
      Quasi tutte le casane milanesi che avevano i servitori coi passamani; quasi tutti i monsignori, i mezzaconici, i canonici, i cappellani corali del Duomo, di S. Ambrogio, di S. Babila e di S. Celso vi erano naturalmente aggregati. Un terzo era il partito di cui abbiam già parlato e del quale conosciamo i personaggi: il partito italiano puro; puro però sino ad un certo segno; perchè il suo agitatore principale, se aveva la mente sana, aveva il cuore guasto. Gli uomini poi di grande ingegno, di gran cuore, infervorati dell'amor di patria, non costituivano veramente un partito; tanto era scarso il loro numero! Essi vedevano l'Italia in quel periglio che avevano preveduto, ma non nutrivano speranze per l'avvenire e non si attentavano di suggerir rimedj. Erano irritati di tutto e contro tutti, e, sebbene lor paresse che delle sventure la men grave fosse ancora il principe Beauharnais fatto re d'Italia, pure non osavano consigliare ai mali d'Italia un rimedio non italiano.


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Cent'anni
di Giuseppe Rovani
pagine 1507

   





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