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      » E qui tra il capitano Marini e lui avvenne un fiero alterco. Diceva il capitano al conte, che il Senato era già entrato in seduta, e che invece d'innalzare delle grida plebee, manifestasse i suoi voti ai senatori stessi. Rispose il conte che ciò non potea fare, per non avere nessuna veste di rappresentanza; e senza dar più retta al capitano Marini, continuò per un pezzo a parlar alto al popolo, il quale, eccitato dalle sue parole, irruppe a furia nel palazzo, per impedire che il Senato continuasse nelle sue deliberazioni.
      Al rumore che si udiva nell'aula senatoriale, agli urli di minaccia, il conte Verri, come quello ch'erasi accorto d'essere in molta grazia del popolo, si offrì di uscire a parlargli e acquietarlo. Prima comparve accompagnato dai senatori Massari e Felici. Alla vista di lui scoppiò un applauso generale; egli tentò parlare, ma il rumore vasto copriva la sua voce. Rientrò allora nell'aula; e crescendo gli urli e le minaccie, tornò ad uscir solo. Ma parlò ancora inutilmente, perchè non era possibile intendersi tra chi aveva bisogno di calma e una turba d'uomini che schiamazzava per tirar tutto al peggio. Questa intanto, che per un pezzo si era trattenuta nel gran cortile, animata dalla stessa guardia civica, ma più che mai dal conte Aquila, che pallido e tremendo come Catilina, la eccitava «a salvare il paese dall'assassinio dei ladri togati che tentavano di scavare l'ultimo abisso alla patria col volerla prostituita al più scellerato di tutti», ascese irruente le scale, invase i corridoj, si addensò nell'anticamera dell'aula.


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Cent'anni
di Giuseppe Rovani
pagine 1507

   





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