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      Curiosa platea e più curiosi ordini di palchetti, dove le acconciature più appariscenti erano bandeaux e berrette da notte, sottanini e mutande. La sinfonia dell'Aureliano fu applauditissima dal pubblico, che cominciò a diventare affollato, perchè molti giovinotti che abitavano nelle vie circonvicine ebbero il coraggio, giacchè era una bella notte di marzo, di rivestirsi e discendere in istrada. Il tenore Bonoldi cantò di poi l'arione dell'Otello: «Vincemmo, o padri». Il conte Emilio, che diventò in seguito il principe Emilio Belgiojoso, eseguì in unione col basso Fioravanti il duetto del Mosè: «Parlar, spiegar non posso». Ad ogni pezzo gli applausi erano strepitosi e meritati. E negli intermezzi d'aspettazione, il pubblico faceva le chiose, non tanto ai motivi dei pezzi eseguiti, quanto al motivo di quella serenata.
      - È strano (notava uno degli ammiratori) che la signorina non si faccia vedere.
      - Che signorina?
      - Diavolo! quella per cui si canta e si suona. Credi tu che si voglia compromettere la trachea di un tenore di cartello, e far gettare il tempo ai professori della Scala, per solo amore dell'arte? Là al primo piano, dove c'è quel poggiuolo, abita quella giovinetta che in queste ultime tre sere ajutò l'impresario del teatro Re e il Don Giovanni, che faceva fiasco, col cantare in costume l'ultima scena della Giulietta e Romeo di Zingarelli.
      - Ah! la Gentili!
      - Madamigella Stefania Gentili, sissignore, la quale, se continua come ha cominciato, che Pisaroni e che Colbrand e che Catalani!


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Cent'anni
di Giuseppe Rovani
pagine 1507

   





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