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      - Vi faccio i miei complimenti, signor Giocondo. D'ora innanzi verrò da voi a imparare lo stile delle lettere commendatizie.
      - Dunque?... disse Giunio.
      - Dunque, anche in questo caso non voglio discostarmi da una mia teoria... ed è che quando si scopre che un conoscente, un collega, un amico, è uno scellerato, bisogna fingere di non saper nulla, bensì tenerlo d'occhio e averlo sottomano.
      - Non si può esprimere con parole, proseguiva Giunio, la ripugnanza ch'io sento per colui. Senza conoscere affatto i suoi antecedenti, mi ricordo che mi rifiutai di sedere ad una mensa comune, per la sola ragione che anch'esso era fra gli invitati. Né sapendo trovar ragione ad un'antipatia così invincibile, e nel medesimo tempo fidandomi assai delle antipatie, che per me son come avvisi del cielo, ne chiesi conto qui al signor Giocondo, il quale press'a poco mi disse quello che ha ripetuto un momento fa.
      - Eh, caro mio, se si dovesse sempre far caso alle antipatie, e respingere da sè tutti quelli che per un verso o per un altro hanno bisogno d'un bagno di zolfo o di acqua ragia, sarebbe necessario di ritirarsi in una grotta a viver di radici come i santoni della Tebaide. Ma lasciamo da parte costui; e parliamo piuttosto di ciò che ben più ti deve interessare.
      E a questo punto, dopo una lunga pausa, il figlio di Andrea Suardi si cavò di tasca un portafoglio; lo aprì, lo svolse, ne trasse un involto che spiegò, levandone una carta.
      - Vedi questa carta, Giunio? disse poi; la vede, signor Giocondo? Ebbene, darei la metà della mia fortuna perchè non mi fosse mai stata consegnata da mio padre.


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Cent'anni
di Giuseppe Rovani
pagine 1507

   





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