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      Fu allora che, dopo avere stancata la propria mente in cento consulte, meditò di fare un'ammenda postuma, collo stendere, cioè, la storia del fatto clamoroso togliendola dal mistero in cui era ancora avvolta, e col fare la confessione più ampia della parte principale che in essa egli aveva avuto. Questo disegno lo eseguì compiutamente; scrisse con brevità e con chiarezza la storia del fatto, la convalidò colla formula del suo giuramento, e la suggellò con questa soprascritta: «A mio figlio Andrea, mio erede universale, perchè la spedisca al tribunale civile di Milano».
      Nello stendere e nel suggellare questo scritto, egli, a tutta prima, aveva fermato di non farne parola al figlio; ma quando fu colto dall'ultima malattia, cangiò d'avviso; chiamò il giovane Andrea presso di sè, e dopo avergli detto che, come avrebbe trovato nel testamento, lo instituiva erede universale di tutte le proprie sostanze, lo mise a parte dell'alto segreto; dissuggellò la scritta, e gliela diede a leggere, soggiungendo: «Il mio desiderio sarebbe che tu spedissi, appena sarò morto, questo documento al tribunale civile di Milano, o alla famiglia Baroggi. Un desiderio però non è una volontà. Lascio a te dunque di fare di questa carta quello che ti parrà meglio».
      Al giovane Andrea era nota in gran parte la vita del padre; era noto il famoso processo (non poteva essere altrimenti) in cui esso era stato avvolto; ma ripugnandogli l'idea che avesse dovuto trafugare un testamento chi non poteva vantare alcun diritto all'eredità della casa F..., egli avea creduto che il padre fosse al tutto innocente di quell'imputazione.


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Cent'anni
di Giuseppe Rovani
pagine 1507

   





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