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      Ladro fu il vostro nonno, ladro il padre vostro e più ladro di tutti, voi, signor marchese; e ve lo dico a chiare note, e se vi credete offeso, vi sfido. In questa faccenda io non ho interesse di sorta. Anzi è a mio danno se mi son lasciato indurre a mettere nelle mani dei Baroggi quella carta di cui io poteva disporre a mio beneplacito. Ma l'idea di una iniquità rimasta impunita per tanti e tanti anni; ma il pensiero che quella povera donna stata tradita dal vostro infame prozio meritava una vendetta postuma; ma il considerare che il vostro padre scellerato non ha mai saputo dare nemmeno un soldo di carità a chi era stato defraudato di tanti milioni; ma più di tutto, il vedere che anche oggi l'ultimo dei Baroggi, che è un mio amico, è sul pendìo della povertà insieme colla madre, nata di famiglia nobilissima e che s'illustrò gloriosamente insieme col marito sui campi napoleonici; tutte queste cose mi han fatto risolvere a dar corso a questa giustizia, mi han fatto risolvere, perfino a turbar la memoria del padre mio. Or vede, signor marchese, che disprezzo ella mi deve inspirare; ma già dovevo sapere che non era a sperar nulla da un nemico del paese, da uno che ha fatto tornar qui quella maledetta peste dell'Austria, da uno che congiura coi Gesuiti a infestar le coscienze, a guastare la gioventù, a corrompere la generazione. Razza di ladri siete voi tutti; razza di ladri e, in un bisogno, anche di spie.
      Il marchese aveva gli occhi fuor delle orbite; spalancò l'uscio, chiamò i servi a gran voce.


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Cent'anni
di Giuseppe Rovani
pagine 1507

   





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