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      Il popolo, stanco di disinganni, aveva trovato il modo di mettere in pratica il detto vetusto: «accontentati di quello che hai»; onde potè acconciarsi a mangiare di buon appetito anche le semplici patate, mentre in addietro gli erano venuti a noja perfino i pruriginosi tartufi.
      La platea del teatro della Scala, pur troppo, batteva le mani al comparire delle Loro Altezze nel duplice palchetto.
      Le faccende del mondo teatrale, segnatamente dell'opera in musica, avean cominciato a diventar l'occupazione principalissima del bel mondo; però se otto e dieci anni prima era un assiduo tener dietro ai movimenti delle truppe, alle nomine dei marescialli, ai bullettini della grand'armata, questo medesimo interesse erasi tutto rivolto a sapere invece, se, per esempio, Gioachino Rossini scriveva piuttosto per la fiera di Sinigaglia che per il Tordinona di Roma; a disputare se Mozart aveva avuto più fantasia di lui; a domandare se Filippo Galli era di nuovo stato scritturato per la Scala; se si poteva sperare che Tacchinardi avrebbe cantato al teatro Carcano; e sopratutto, per qualche tempo, a chieder notizie sull'incendio del teatro San Carlo di Napoli; e se una volta nelle osterie e nei caffè nascevan feroci dispute per dare la preminenza piuttosto a Ney che a Massena, piuttosto a Murat che a Bessière, caricatori incliti di cavalleria, or quasi venivasi alle mani per la preferenza da darsi piuttosto alla Catalani che alla Pisaroni, piuttosto a Nozari che a David.
      Ciò in quanto alla generalità del bel mondo; rispetto agli specialisti, tra chi portava un certo amore, per esempio, all'arte drammatica, era un discorrere assiduo di De Marini e Modena e Barlaffa, e della esordiente Marchionni e dei due Righetti, il milanese e il veronese; e del caratterista Pertica e del padre nobile Verzura, ecc. ecc.; e un discutere alquanto appassionato se i dilettanti del Filo-drammatico fossero migliori di quelli del Filo-Gambaro o del Filo-Fuston o del Filo-Navasc, teatrini di dilettanti allora in gran voga in Milano, ed ora scomparsi tutti.


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Cent'anni
di Giuseppe Rovani
pagine 1507

   





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