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      Chicchessia pertanto (non chi scrive però, perchè di tali cose se ne intende troppo) avrebbe dovuto invidiare quella giovane creatura cullata dai genitori come se fosse una neonata, raccomandata espressamente al cielo dalle preghiere di un venerando sacerdote, idolatrata dal futuro sposo; al che si aggiunga la splendida prospettiva del cocchio, del palco in teatro, delle livree, dei viaggi a Parigi, a Londra, a Madrid, delle conversazioni serali e vocali, dov'ella necessariamente sarebbe stata la regina legittima e perpetua della festa.
      Esultavano dunque tutti, ma tutti a danno di una sola, e precisamente quelli che, esaurita la maggior parte della vita, avean raggiunta l'età in cui gli uomini non dovrebbero avere altro obbligo che di provvedere al bene della gioventù che sorge, di apprestarle tutte le occasioni della felicità possibile, di soccorrerla, di salvarla, di colmarla di beneficj. Esultavano tutti a danno di una sola. La giovinetta Stefania, leggiadra, bella fra le bellissime, dotata di un talento straordinario e in quella sfera dell'arte che è la più lusinghiera e la più affascinante di tutte; essendo alimenti naturali di questo medesimo ingegno il sentimento, l'entusiasmo, l'amore ardente del bello, e attraverso e intorno e dentro a tutte codeste attitudini, una serpigine occulta, persino a lei stessa, ma prepotente e fortissima, di una sensualità gentile, che non offendeva la castità nativa, ma le metteva in ebollizione il sangue con tentazioni arcane; l'unica figliuola di due santi testardi e inconsciamente spietati, eletta creatura che cresceva allora e per la quale quanti le stavano intorno avean l'obbligo di sacrificarsi, era predestinata invece, come Ifigenia, per i fatali responsi di un sacerdote, ad essere immolata sull'ara paterna, e a diventare, come Andromaca o come Angelica, pasto consacrato alle zanne d'una belva affamata.


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Cent'anni
di Giuseppe Rovani
pagine 1507

   





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