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      - Vi sono gl'ingegni che additano, e gli ingegni che fanno. I primi hanno il merito, i secondi la ricompensa.
      - Benissimo detto. Ma, senza i secondi, i primi sarebbero inutili. A che sarebbe valso 1'Orlando del Bojardo, senza il Furioso dell'Ariosto; a che la leggenda del Faust senza il dramma di Goethe; a che il crescendo di Generali, senza Rossini che lo ha fatto trionfare?
      - A proposito di Rossini, guardate che entrò adesso Carlo Porta.
      - Mi piace quell'a proposito. Carlo Porta è davvero il Rossini della nostra poesia vernacola. Questi due ingegni si assomigliano così negli ultimi risultati a cui portano l'arte loro, come nelle precedenze storiche che li hanno preparati. Il Maggi, per l'originalità e la potenza dell'invenzione, è il più grande poeta in vernacolo che mai sia esistito; come in musica il Marcello, che viveva contemporaneo al Maggi, è il più sublime, il più originale e il più lirico. Ma Rossini e Porta sono più trasparenti, più veloci, più lusinghieri, più popolari. L'arte, che non è accessibile alla moltitudine, quasi cessa di essere arte e però rimane solitaria e non compensata. Se alcuno ci udisse, forse si riderebbe nel sentirci a mettere in compagnia Maggi e Marcello, Porta e Rossini. Ma l'arte è sempre la stessa, nonostante l'infinita varietà de' suoi mezzi; e chi si sgomenta dei troppo arditi ravvicinamenti, non è nato nè all'arte nè alla critica. Ma chi è quel caporale dei granatieri del Bellegarde, che ora sta parlando con Grossi?
      - È un giovanotto di Bergamo, che ha studiato musica sotto Simone Mayr.


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Cent'anni
di Giuseppe Rovani
pagine 1507

   





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